Little Italy, Manhattan (NY),
November 10th
Se ci si immerge in Little Italy, le strade sembrano diverse. Come disegnate per terra sulla tela di un quadro d’epoca. Anche l’aria sembra diversa. Sembra meno newyorkese e più italiana. La gente ti guarda, ti sorride, ti offre la frutta dai banconi. Sembra che la crisi finanziaria – la più spaventosa dell’ultimo secolo – debba ancora fare visita a Mulberry Street.
La nonna Giovanna non appena ti vede capisce subito che sei italiano. “Entrate picciotti…” mi dice sulla porta del ristorante. Io – amante delle tradizioni e delle nonne – proprio non posso rifiutare. Il sorriso è caldo, almeno quanto gli spaghetti paglia e fieno che servono al tavolo. Gli affari vanno bene, ma la paura del tracollo turba l’insieme come un fastidioso capello sul piatto. Nonna Giovanna è preoccupata. Si siede, e fra uno scontrino ed un menù, mi racconta i suoi timori. “Qui è l’America” – comincia cupa – “…non la Sicilia, anche se dalla Sicilia siamo sbarcati con un sogno grande così. Il sogno americano.” Gli occhi sembrano velati, nascosti in una burrasca di pensieri. La burrasca che ha travolto le maggiori banche a stelle e strisce e che fa nascere timori in chi sa che da queste parti si è al centro del mondo, nel bene ed ora sopratutto nel male. “Se accappottano loro, accappotta tutto il mondo” conclude nonna Giovanna, tradendo ancora una volta (qualora ce ne fosse stato bisogno) la sua provenienza sicula.
All’alba della nuova corsa alla Casa Bianca, è questa la fotografia del popolo meridionale a New York. Un popolo che americano non si sente nel passaporto, ma americano si ritrova nel portafoglio. Con paure annesse.
La “speranza” Obama, o “Maverick” McCain? Da una parte uno venuto da lontano con la forza di chi sa di avere mille sogni e di volervi realizzare. Dall’altra uno che prima ancora degli USA ha conosciuto sulla pelle le torture in Vietnam. Sicuramente due uomini veri, entrambi. Chi scegliere allora? Il dubbio, qualche giorno prima del 4 Novembre, sembrava avere un importanza relativa nell’Italia newyorkese. “Chiunque vinca… si troverà davanti una bella gatta da pelare” mi svela – con toni più coloriti – Salvatore. Sono passati oltre 30 anni da quando ha messo piede sul suolo americano, lasciando Bagheria. Tanti sacrifici all’inizio, poi finalmente un sogno che si avvera. Un’azienda che produce prodotti tipici italiani, pasta, sorbetti, come la nostra migliore tradizione insegna. Brooklyn d’altronde (dove si trova il suo quartier generale) di profumo italiano è vestita da diversi anni. “Ma serve davvero un cambiamento…” continua Salvatore. Cambiamento che dalla notte di martedi scorso ha il volto di Barack Obama. L’uomo venuto da lontano. Le sue idee hanno stregato la gente, i suoi propositi hanno conquistato un popolo. Ed è proprio attorno a quella parola – popolo – che si nasconde la verità segreta del desiderio a stelle e strisce. Il desiderio di compattarsi, la voglia di unirsi, insieme per tentare di afferrare un sogno, risollevandosi dalla polvere. Barack che viene dal Kenya è l’emblema di un mondo che può cambiare, che non deve arrendersi, se vuole credere nei propri ideali. “Siamo partiti entrambi da lontano e siamo arrivati qui” - mi dice con un sorriso orgoglioso Mario, chef di professione – “certo però… lui è diventato Presidente, io invece ho aperto un ristorante, ma il concetto non cambia!” conclude con ironia. Avere un sogno, credere in esso e saper sudare per rincorrerlo. Sono questi i 3 segreti che servono per poter volare. Il quarto probabilmente, è saper tornare a casa. Verso una Sicilia che di figli “importanti” ne ha sparsi in tutto il mondo ma che si ritrova al momento vuota, incatenata da acciaio invisibile, che noi vediamo ma abbiamo paura a sciogliere. Una Sicilia unita, nel Mondo, è forse un sogno arduo, ma non meno di quello che era il sogno di un giovane ragazzo nero che qualche giorno fa ha preso in affitto la Casa Bianca. “Dio benedica colui che da oggi è il mio Presidente” ha esclamato in Arizona, uno stanco ma signorile McCain. Dando una lezione di unità, di coesione e di fratellanza che la Sicilia e l’Italia tutta devono far loro prima possibile per poter davvero spiegare le ali. Da queste parti hanno già capito che se si vuole vincere una battaglia dura, si deve lottare ognuno al fianco dell’altro.
Sembrano librarsi in aria le ultime parole che Obama ha urlato ad una Chicaco in lacrime di gioia. E lente arrivare fino a noi. “Ci solleveremo o precipiteremo tutti insieme. Uniti. Come un unico popolo.” E nella notte, quella verità che ci scuote ma ci scalda il cuore: sicilians, we can.
Enricuzzu
(articolo pubblicato su Il Siciliano, in edicola 11/11/08)
November 10th
Se ci si immerge in Little Italy, le strade sembrano diverse. Come disegnate per terra sulla tela di un quadro d’epoca. Anche l’aria sembra diversa. Sembra meno newyorkese e più italiana. La gente ti guarda, ti sorride, ti offre la frutta dai banconi. Sembra che la crisi finanziaria – la più spaventosa dell’ultimo secolo – debba ancora fare visita a Mulberry Street.
La nonna Giovanna non appena ti vede capisce subito che sei italiano. “Entrate picciotti…” mi dice sulla porta del ristorante. Io – amante delle tradizioni e delle nonne – proprio non posso rifiutare. Il sorriso è caldo, almeno quanto gli spaghetti paglia e fieno che servono al tavolo. Gli affari vanno bene, ma la paura del tracollo turba l’insieme come un fastidioso capello sul piatto. Nonna Giovanna è preoccupata. Si siede, e fra uno scontrino ed un menù, mi racconta i suoi timori. “Qui è l’America” – comincia cupa – “…non la Sicilia, anche se dalla Sicilia siamo sbarcati con un sogno grande così. Il sogno americano.” Gli occhi sembrano velati, nascosti in una burrasca di pensieri. La burrasca che ha travolto le maggiori banche a stelle e strisce e che fa nascere timori in chi sa che da queste parti si è al centro del mondo, nel bene ed ora sopratutto nel male. “Se accappottano loro, accappotta tutto il mondo” conclude nonna Giovanna, tradendo ancora una volta (qualora ce ne fosse stato bisogno) la sua provenienza sicula.
All’alba della nuova corsa alla Casa Bianca, è questa la fotografia del popolo meridionale a New York. Un popolo che americano non si sente nel passaporto, ma americano si ritrova nel portafoglio. Con paure annesse.
La “speranza” Obama, o “Maverick” McCain? Da una parte uno venuto da lontano con la forza di chi sa di avere mille sogni e di volervi realizzare. Dall’altra uno che prima ancora degli USA ha conosciuto sulla pelle le torture in Vietnam. Sicuramente due uomini veri, entrambi. Chi scegliere allora? Il dubbio, qualche giorno prima del 4 Novembre, sembrava avere un importanza relativa nell’Italia newyorkese. “Chiunque vinca… si troverà davanti una bella gatta da pelare” mi svela – con toni più coloriti – Salvatore. Sono passati oltre 30 anni da quando ha messo piede sul suolo americano, lasciando Bagheria. Tanti sacrifici all’inizio, poi finalmente un sogno che si avvera. Un’azienda che produce prodotti tipici italiani, pasta, sorbetti, come la nostra migliore tradizione insegna. Brooklyn d’altronde (dove si trova il suo quartier generale) di profumo italiano è vestita da diversi anni. “Ma serve davvero un cambiamento…” continua Salvatore. Cambiamento che dalla notte di martedi scorso ha il volto di Barack Obama. L’uomo venuto da lontano. Le sue idee hanno stregato la gente, i suoi propositi hanno conquistato un popolo. Ed è proprio attorno a quella parola – popolo – che si nasconde la verità segreta del desiderio a stelle e strisce. Il desiderio di compattarsi, la voglia di unirsi, insieme per tentare di afferrare un sogno, risollevandosi dalla polvere. Barack che viene dal Kenya è l’emblema di un mondo che può cambiare, che non deve arrendersi, se vuole credere nei propri ideali. “Siamo partiti entrambi da lontano e siamo arrivati qui” - mi dice con un sorriso orgoglioso Mario, chef di professione – “certo però… lui è diventato Presidente, io invece ho aperto un ristorante, ma il concetto non cambia!” conclude con ironia. Avere un sogno, credere in esso e saper sudare per rincorrerlo. Sono questi i 3 segreti che servono per poter volare. Il quarto probabilmente, è saper tornare a casa. Verso una Sicilia che di figli “importanti” ne ha sparsi in tutto il mondo ma che si ritrova al momento vuota, incatenata da acciaio invisibile, che noi vediamo ma abbiamo paura a sciogliere. Una Sicilia unita, nel Mondo, è forse un sogno arduo, ma non meno di quello che era il sogno di un giovane ragazzo nero che qualche giorno fa ha preso in affitto la Casa Bianca. “Dio benedica colui che da oggi è il mio Presidente” ha esclamato in Arizona, uno stanco ma signorile McCain. Dando una lezione di unità, di coesione e di fratellanza che la Sicilia e l’Italia tutta devono far loro prima possibile per poter davvero spiegare le ali. Da queste parti hanno già capito che se si vuole vincere una battaglia dura, si deve lottare ognuno al fianco dell’altro.
Sembrano librarsi in aria le ultime parole che Obama ha urlato ad una Chicaco in lacrime di gioia. E lente arrivare fino a noi. “Ci solleveremo o precipiteremo tutti insieme. Uniti. Come un unico popolo.” E nella notte, quella verità che ci scuote ma ci scalda il cuore: sicilians, we can.
Enricuzzu
(articolo pubblicato su Il Siciliano, in edicola 11/11/08)
6 commenti:
Bravo Enrico! Bell'articolo, veramente! Con le tue parole mi hai fatto respirare un po' di Little Italy e le speranze di un popolo. Buona giornata!
anche tu di Obama manìa...bene bene,SPERIAMO CHE LO LASCINO LAVORARE..la mia grande paura è che le non poche minoranze xenofobo nazista americane di grande odio razziale...spesso organizzatissime a livello paramilitare...possano fare danno.spero tanto siano bravi a proteggerlo sempre e cmq...perche' credo e spero che fara' tanto...e nn solo x l'america...e poi è anche bello giovane e abbronzato:O)
Bravo Enricuzzu! Come sempre dipingi i tuoi stati d'animo e le tue sensazioni. Mi sono sentito, all'indomani delle elezioni USA, con il mio zione Panormo-Californiano. Mi ha detto che adesso succederanno tante cose belle e brutte. Quelle belle sono legate alla voglia di Obama di unire il popolo americano. Le brutte sono che vuole unire anche gli altri popoli per un sogno di libertà. Quest'ultima, a mio parere, darà molto fastidio al capitalismo arrivista che impera sul nostro Pianete. Cmq, lo zio Joe mi ha detto che sono molto contenti e, come siciliano emigrato non per bisogno ma per amore, afferma le stesse cose dei connazionali di Little Italy.
Io spero che il mondo capisca che questi uomini debbono governare insieme alle masse per fare rinascere nei cuori di tutti il sentimento di iguaglianza e fratellanza che, per secoli, è stato blaterato ma mai applicato dai politici.
Ancora grazie dei tuoi quadri sentimentali.
Un abbraccio fratellino
Stefi, Marco e Neil... vedremo. Abbiamo tempo per vedere. Speriamo cose belle.
Enri ... che dire?!?
Bravissimo ... come sempre! ;-)
Complimenti!
Splendido come tutti gli altri ;)
Deve essere stupendo essere dall'altro capo del mondo e incontrare gente sicula ... io ancora mi emoziono quando li trovo qui a Milano!!!
Bacio, Giuliana
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