Manhattan (NY),
November 7th
L’ho sempre pensato: l’arte non è cosa mia. E’ come una festa in cui mi imbuco per sbaglio. Tutti a raccontarmi aneddoti sul festeggiato ed io ad annuire, con un drink in mano, ricordando con gli invitati quanto erano belli i tempi in cui io e lui scambiavamo due calci al pallone. Per poi scoprire che “lui” è una donna e magari gioca anche a tennis.
Ma che ti piaccia l’arte o no, il Guggenheim Museum lo devi assolutamente vedere. Perché l’arte – quella vera – la trovi proprio dove meno te l’aspetti.
Ci troviamo tutti alle 20 davanti l’entrata. C’è un party, dicono. Io però ai party sono abituato ad entrare a scena iniziata, per il piacere di farmi tirare dietro quelle quattro parolacce da ritardo. E quindi, arrivare al Guggenheim con un’ora di anticipo proprio non lo dugerisco. Perché fondamentalmente sono un pirla. Metafora di vita che capisco, poco dopo mezz’ora quando mi giro e vedo dietro di me una fila spaventosamente lunga, a zig zag, che finisce alle mie spalle e inizia in un punto non pervenuto di Central Park, fra fronde e alberelli. Ci sono tutti: bianchi e neri, belli e brutti, in fondo è arte anche quella. All’entrata, una piacente signorina mi invita a scrivere nome, cognome ed email su un foglio. Enrico Nunnari, comincio… “Ci serve per mandarle le email con le news del Guggenheim” mi dice sorridendo. Ah bene, rispondo. “Si si…” - continua una ragazza dietro di me con un cappellino a punta che con l’arte fa a pugni - “mandano almeno 3-4 email a settimana, è interessante.”. Ah, perfetto penso. La mia email è paperino, chiocciola scordatela punto it. “Che indirizzo strano” mi dice l’assistente del Museo. “Eh si, è una casella italiana, sa com’è…”. Ride, le rido di rimando. Credo sia reato federale per presa per il culo aggravata.
Una volta entrati, il Guggenheim si trasforma in una giungla. Piacenti donne d’affari snobbano i quadri per collezionare bicchieri di buon vino rosso. “Aiutano a capire meglio l’arte” mi spiega una ragazza di Los Angeles. Ovvio – penso – casomai non ci capisci una mazza, ti fai due bicchieri di nero d’avola e cominci a commentare l’astratto futurismo minimalista dei quadri a primo piano.
Di sicuro però, io brutta figura proprio non volevo farne. E se proprio non vuoi farne, devi spararle grosse le cavolate e complicate. Perché se non puoi convincere la folla, quantomeno devi confonderla. E' la cosa migliore che ho pensato davanti a quella cornice con contenuto bianco. Senza un se, senza un ma, uno scarabocchio per caso, una pennellata per combinazione. No, solo bianco. Sotto, la targhetta col nome dell'artista: Catherine Opie. Sono perplesso nell’intimità della mia coscienza. Io non capirò anche una mazza di arte, ma vorrei sfidare chiunque a trovare un senso in quel quadro. “Lei che ne pensa?”. Mi arriva cosi, a freddo, la domanda da una signora sulla quarantina intenta come me a fissare quel nulla. E ora che diavolo sparo? “Secondo me, ci descrive il vuoto delle nostre opinioni. Si insomma, la nostra incapacità, a volte. di rendere un’idea nostra. Forse per paura nell’esporci al giudizio altrui.”. Mi fermo, bevo un po’ di vino, credo che da a momento all’altro giunga la risata sganasciata della signora. Invece mi guarda, perplessa e conclude “Lei è un genio.”. Ma dai? Ripenso alla ragazza che lodava le doti dell’alcool per capire l’arte. Mi sa che il genio è lei. Non contenta però, la signora, palesemente eccitata, chiama una sua amica e la porta davanti al quadro bianco. “Cara, stavo scambiando due chiacchere davanti questa meraviglia…”. “Se notate, signore…” – continuo ormai in preda al vino che scende – “il bianco, il nulla, probabilmente ci vuol far intendere che possiamo disegnare ciò che vogliamo in questo quadro. Ciò che più desideriamo. La vita prende i contorni che noi stessi le diamo. Credo sia questo la volontà dell’artista.”. Le due malcapitate mi guardano ammirate, come pendenti dalle mie labbra. Manca poco e mi convinco anche io delle stronzate che vado sparando.
All’improvviso, tutto l’insieme magico viene sciolto dalla voce roca di una guardia del Museo. In mano ha un quadro con disegnato il mare, qualche uccello, un sole poco splendente. Si fa spazio e lo appende sopra la targhetta dell'artista, dissolvendo quella parete bianca. “Scusateci, ma abbiamo potuto appenderlo solo ora.” ci dice con imbarazzo. Le signore mi guardano perplesse con i loro drink in mano. Io prevedo il disastro, ma anticipo tutti e con un sorriso da schiaffi, alzo il bicchiere di vino, sussurrando “Ladies… buon proseguimento.”
In fondo, anche la presa per il culo – seppur involontaria – è arte. Arte da Guggenheim Museum.
Enricuzzu
(nella foto) Enricuzzu perplesso, tenta di capire il senso della vita.
November 7th
L’ho sempre pensato: l’arte non è cosa mia. E’ come una festa in cui mi imbuco per sbaglio. Tutti a raccontarmi aneddoti sul festeggiato ed io ad annuire, con un drink in mano, ricordando con gli invitati quanto erano belli i tempi in cui io e lui scambiavamo due calci al pallone. Per poi scoprire che “lui” è una donna e magari gioca anche a tennis.
Ma che ti piaccia l’arte o no, il Guggenheim Museum lo devi assolutamente vedere. Perché l’arte – quella vera – la trovi proprio dove meno te l’aspetti.
Ci troviamo tutti alle 20 davanti l’entrata. C’è un party, dicono. Io però ai party sono abituato ad entrare a scena iniziata, per il piacere di farmi tirare dietro quelle quattro parolacce da ritardo. E quindi, arrivare al Guggenheim con un’ora di anticipo proprio non lo dugerisco. Perché fondamentalmente sono un pirla. Metafora di vita che capisco, poco dopo mezz’ora quando mi giro e vedo dietro di me una fila spaventosamente lunga, a zig zag, che finisce alle mie spalle e inizia in un punto non pervenuto di Central Park, fra fronde e alberelli. Ci sono tutti: bianchi e neri, belli e brutti, in fondo è arte anche quella. All’entrata, una piacente signorina mi invita a scrivere nome, cognome ed email su un foglio. Enrico Nunnari, comincio… “Ci serve per mandarle le email con le news del Guggenheim” mi dice sorridendo. Ah bene, rispondo. “Si si…” - continua una ragazza dietro di me con un cappellino a punta che con l’arte fa a pugni - “mandano almeno 3-4 email a settimana, è interessante.”. Ah, perfetto penso. La mia email è paperino, chiocciola scordatela punto it. “Che indirizzo strano” mi dice l’assistente del Museo. “Eh si, è una casella italiana, sa com’è…”. Ride, le rido di rimando. Credo sia reato federale per presa per il culo aggravata.
Una volta entrati, il Guggenheim si trasforma in una giungla. Piacenti donne d’affari snobbano i quadri per collezionare bicchieri di buon vino rosso. “Aiutano a capire meglio l’arte” mi spiega una ragazza di Los Angeles. Ovvio – penso – casomai non ci capisci una mazza, ti fai due bicchieri di nero d’avola e cominci a commentare l’astratto futurismo minimalista dei quadri a primo piano.
Di sicuro però, io brutta figura proprio non volevo farne. E se proprio non vuoi farne, devi spararle grosse le cavolate e complicate. Perché se non puoi convincere la folla, quantomeno devi confonderla. E' la cosa migliore che ho pensato davanti a quella cornice con contenuto bianco. Senza un se, senza un ma, uno scarabocchio per caso, una pennellata per combinazione. No, solo bianco. Sotto, la targhetta col nome dell'artista: Catherine Opie. Sono perplesso nell’intimità della mia coscienza. Io non capirò anche una mazza di arte, ma vorrei sfidare chiunque a trovare un senso in quel quadro. “Lei che ne pensa?”. Mi arriva cosi, a freddo, la domanda da una signora sulla quarantina intenta come me a fissare quel nulla. E ora che diavolo sparo? “Secondo me, ci descrive il vuoto delle nostre opinioni. Si insomma, la nostra incapacità, a volte. di rendere un’idea nostra. Forse per paura nell’esporci al giudizio altrui.”. Mi fermo, bevo un po’ di vino, credo che da a momento all’altro giunga la risata sganasciata della signora. Invece mi guarda, perplessa e conclude “Lei è un genio.”. Ma dai? Ripenso alla ragazza che lodava le doti dell’alcool per capire l’arte. Mi sa che il genio è lei. Non contenta però, la signora, palesemente eccitata, chiama una sua amica e la porta davanti al quadro bianco. “Cara, stavo scambiando due chiacchere davanti questa meraviglia…”. “Se notate, signore…” – continuo ormai in preda al vino che scende – “il bianco, il nulla, probabilmente ci vuol far intendere che possiamo disegnare ciò che vogliamo in questo quadro. Ciò che più desideriamo. La vita prende i contorni che noi stessi le diamo. Credo sia questo la volontà dell’artista.”. Le due malcapitate mi guardano ammirate, come pendenti dalle mie labbra. Manca poco e mi convinco anche io delle stronzate che vado sparando.
All’improvviso, tutto l’insieme magico viene sciolto dalla voce roca di una guardia del Museo. In mano ha un quadro con disegnato il mare, qualche uccello, un sole poco splendente. Si fa spazio e lo appende sopra la targhetta dell'artista, dissolvendo quella parete bianca. “Scusateci, ma abbiamo potuto appenderlo solo ora.” ci dice con imbarazzo. Le signore mi guardano perplesse con i loro drink in mano. Io prevedo il disastro, ma anticipo tutti e con un sorriso da schiaffi, alzo il bicchiere di vino, sussurrando “Ladies… buon proseguimento.”
In fondo, anche la presa per il culo – seppur involontaria – è arte. Arte da Guggenheim Museum.
Enricuzzu
(nella foto) Enricuzzu perplesso, tenta di capire il senso della vita.
7 commenti:
Enricuzzu, tu ne avrai bevuto due di bicchieri di vino, ma la tua interlocutrice, per definirti "genio", sinn'aveva sculatu u damigiana!!!!!!
:lol: :lol:
Un saluto.
Giamby
Eh...il vino che fa fare!! Però ci vuole presenza di spirito per far uscire le tue parole in maniera estemporanea...e comunque te ne sei uscito come un gentleman...
Ma sicuro che parlavi in inglese??
:-D
:-D
Stefi... anche nelle prese per il culo sono un gentleman... alla faccia di quello che dice Giamby! =)
Bel pezzo. Complimenti.
Non so quanto ci sia di vero e quanto di inventato, ma poco importa. Il pezzo è bello.
Mi raccomando. In gamba.
Andrea
ti capisco, ci sono stato 3 settimane fa di fronte a quel quadro bianco, gli ho fatto una foto, mi sa che e' venuta anche mossa perche' ridevo come un pirla, mentre la mente era attraversata dai tuoi medesimi pensieri, ma poi tanto anche se e' mossa sul biano non si vede.
ciao compare...alla fine forse ho capito il problema sul muro... e forse x risolverlo devo evitare di fare login x almeno 15 giorni..nel frattempo ho creato un blog solo rosanero... passa a trovarmi...spesso li... penso che sara' spesso aggiornato.. xche'visto il grande amore x la ns squadra...è ovvio che nel bene o nel male ci sia sempre qualcosa da dire...
speriamo che nn inceppo pure sto muro..eheh
www.rosanerologia.blogspot.com
ps ( chi malu chiffari!!!) ps fallo conoscere ad altri fusi rosanero come noi... take care mate!
Boia diun boia! Meriti la prima pagina con i tuoi scritti! Non hai ancora assaggiata la .. Mela che sei già pronto per il grande salto! Si!, nel buio, dopo il bianco!! Complimenti vivissimi.
My best for you.
Pucci
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