venerdì 28 novembre 2008

Thanksgiving Day

Long Island (NY),
November 27th

Le sue mani scivolavano dentro la farina leggere, come le foglie che volavano fuori in balcone sulle ali del vento. Le rughe del tempo erano nascoste, invisibili, fra gli ingredienti che maneggiava, come lei stessa forse desiderava. Gli anni si facevano sentire sulla pelle, ma i ricordi di Nonna Arpaia restavano nitidi come fossero accaduti ieri. “Otto giorni” – mi dice con un sorriso – “Otto giorni abbiamo viaggiato sull’Oceano, 40 anni fa per arrivare qui a New York”. Quarant’anni, penso. Non mi bastano le dita di mani e piedi per arrivarci. Quasi il doppio dei miei anni. Anni che raccontano di gente dell’epoca, ritratta in fotografie in bianco e nero, che si imbarcava su una nave carica di sogni. Otto giorni di speranze, tanti quanti ne servirebbero oggi per fare un giro in vacanza fra i cinque continenti. Con meno speranze, ma sicuramente più soldi di allora.
40 anni per abituarsi – anche se di cuore e anima napoletana – al Nuovo Continente, con feste annesse. Pronti per celebrare il giorno meno amato dai tacchini d’America, il Thanksgiving Day.

Quando Marcello – mio Boss e amico, ultimo della generazione Arpaia ma ormai newyorkese purosangue - mi ha invitato nella sua splendida casa di Long Island, sua mamma ha illuminato l’ambiente con un sorriso immenso. Un altro italiano a tavola, durante la festa più americana che c’è. Il primo pensiero di Mr. Arpaia – padre di Marcello – invece è stato più concreto: basterà il tacchino per tutti? Si perché – mi spiega – a distanza di un giorno dalla clemenza tradizionale che ha concesso Bush a due tacchini, lui la pensa diversamente: “Bush perdona. Io no.” E giù una risata che coinvolge tutti.
Ride anche Nonno Alfredo, lui che sulla famosa nave di 40 anni fa, ci ha caricato moglie e figli. Un presente come pensionato, un passato a suo modo prestigioso. Lavorava nei pressi del Rockefeller Center come “ascensorista”. Di quelli speciali però, quelli che salgono solo merce. Ed è proprio grazie a quella 'specialità' che si è potuto togliere diversi sfizi. “Come quella volta che ho caricato su Mohammed Alì, o ho rifiutato di accompagnare Bush padre.” mi racconta gonfiando il petto dentro il pullover. Non aveva digerito una politica in Kuwait. “A Liza Minelli però, il passaggio non l’ho rifiutato…” mi sussurra ridendo e facendo attenzione che sua moglie non lo senta.

Prima di andare a tavola, Marcello mi mostra la casa immersa dentro Long Island. Alle spalle, la verandina da sul fiume che porta all’oceano. I vicini non si raggiungono con le auto o con le bici, ma con gli acquascooter che tutti tengono posteggiati in giardino. Roba da Venezia del duemila. “Se metti un po’ di benzina in più...” – ride Marcello – “...può essere che arrivi in Italia!”.

Da dentro il salotto, la voce di Mrs. Arpaia ci richiama all’ordine come faceva con i suoi figli quando erano piccoli. Il tacchino è a tavola. Ci sediamo ed io guardo il tavolo da destra a sinistra, lentamente, come un dono scartato a Natale. C’è il tacchino, le salse aromatizzate, le tipiche patate dolci americane e la non proprio tipica lasagna fatta in casa. “Chi se ne futt… simm italiani!” mi dice facendomi l’occhiolino Nonno Arpaia. Io chiudo gli occhi per un attimo e immagino di stare a casa. Senza camino, ma con lo stesso amore che c’è a Long Island. Quando li riapro il tacchino è già sul piatto.
Felice Giorno del Ringraziamento a tutti.

Enricuzzu

(nella foto in alto) Veduta di Long Island (NY)
(nella foto in basso) Enricuzzu nella verandina di Casa Arpaia.

1 commento:

stefi ha detto...

Bravo Enrico! Fa rabbia pensare che oggi in Italia qualcuno si sia dimenticato (o faccia finta o non lo sappia) di tutte le sofferenze degli emigranti italiani arrivati in America, di come siano stati trattati arrivati ad Ellis Island...e ora qui si fa la politica sulla pelle di quei poveri disgraziati che arrivano nel "Belpaese" cercando la loro America...