venerdì 25 settembre 2009

Wakeboard in strada: quando lo sport s'inventa!

Mondello (PA),
September 20th

Si deve fare attenzione a Palermo quando si racconta che in ogni genio c’è un pizzico di follia perché, in una città che non conosce mezze misure, di follia ce n’è fin troppa e si rischia di alzarsi una mattina di fine estate in preda a scatti convulsi di creatività. Proprio com’è successo a Dario Romeo, mondelliano di nascita e avventuriero per scelta, qualche giorno fa. “Sapevo che c’era stato un acquazzone, ma quando ho trovato il cane che nuotava in giardino, proprio non ce l’ho fatta più…” ci racconta. 29 anni in giro per il mondo con una passione: il wakeboard, che insegna tramite la sua scuola (la Sikelia) proprio a Mondello. 29 anni sempre con la stessa domanda: ma perché per due gocce d’acqua Palermo si deve ridurre sempre così? Strade impantanate, fiumi in piena lungo strade pedonali ed un confine col mare che dicono esistere ma che proprio non si trova. Come le sue risposte. E allora non resta che farsi travolgere dalla genialità che offre il wakeboard. “Ho chiamato un paio di amici e mi son portato dietro la tavola” continua a raccontarci. Se cercate su youtube lo troverete anche voi: mentre cavalca onde selvagge lungo tutta Via Principe di Scalea, quando intorno le auto annaspano. In poche ore oltre diecimila visualizzazioni, praticamente come essere andati su una tavola da un lato all’altro di Palermo. E forse anche della Sicilia.

L’acqua, un problema che da anni a Palermo è fratello del traffico, oggi sfrutta la sua “onda” e ruba la scena a tutti. Da quella sporca che scorre sotto le barchette di qualcuno a quella melmosa che scorre sotto la tavola di Dario e dei suoi amici. C’è chi gli da dei pazzi – “ma in fondo forse avrebbero voluto provare anche loro” – risponde Dario. Ed ha ragione, perché nessuno dovrebbe stancarsi di fare notare cosa non va in questa città e spesso proprio nel modo migliore che esiste: la goliardia che da anni accompagna un popolo sempre abituato a scherzare sulle proprie disgrazie.

Fra qualche settimana ci sarà il Windsurf World Festival e resteranno tutti al loro posto: Mondello, il mare, i problemi della città e lo stand della Sikelia Wakeboard di Dario. Fate un fischio se volete una lezione con la tavola. E poco importa se ci sarà malotempo e strade allagate: tanto ora sappiamo come muoverci!

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Enricuzzu



(nella foto sopra) Dario Romeo
(nella foto sotto) Dario mentre fa wakeboard per le vie di Mondello

venerdì 11 settembre 2009

Surfando verso Sud ...

Mondello (PA),
September 7th

L’acqua che mi scivola fra i capelli. La pelle che sfiora l’aria frizzante. Il profumo della salsedine nelle narici. Le ginocchia piegate in avanti nel disperato tentativo di mantenere l’equilibrio. I raggi del sole che incrociano i miei occhi dipingendomi la spiaggia dove sono nato come una meraviglia nuova mai vista. Il tutto dalla durata di un secondo lunghissimo, interminabile, prima che il mare mi dica che il momento paradisiaco è durato fin troppo per essere la prima volta. Bum, finisco rovinosamente in acqua. Quando riemergo capisco perché dicono che il Surf sia divino: perché ti permette di camminare sulle acque come si racconta fece un tizio un po’ più famoso di te, senza tavola sotto i piedi ma col cuore strapieno di amore.

Sono le nove del mattino quando mi reco al negozio di Surf per noleggiare la mia prima tavola con Andrea, mio fratellino acquisito da più di dieci anni e parte ormai integrane della mia ‘ohana (la famiglia “allargata” per gli hawaiani, che comprende anche gli amici stretti). Ho fermamente in mente che tipo di tavola voglio per cominciare: praticamente un portone di casa che farebbe galleggiare in acqua anche un pachiderma. O in alternativa una minimalibù, tavola abbastanza grande e abbordabile per i principianti. Potete quindi immaginare il mio sguardo da cefalo arrosto quando il ragazzo del negozio mi mette davanti una shortboard, una tavoletta aerodinamica e paurosamente piccola da sembrare quasi una figurina di plastica con le pinne sotto. “Con questa, se prendi l’onda, voli…” mi dice schiacciandomi l’occhio, pieno di soddisfazione. Mi renderò conto qualche ora dopo, in acqua, che in effetti aveva ragione: con quella tavola si vola davvero. Faccia all’aria da una boa all’altra, però.

Poco dopo, in spiaggia, ancora prima che dalle onde, vengo travolto dall’entusiasmo. Qualche lezioncina rapida sulla sabbia e mi tuffo subito in acqua. Quasi dimentico di allacciarmi il leash (il laccio che lega la tavola alla caviglia) rischiando di andare a recuperare la stessa a Capo Gallo al primo cappottone. La prima cosa da imparare però, ancora prima di cavalcare le onde, è come “superarle” se vuoi arrivare al largo. Esistono due modi e io li provo entrambi. Il primo si chiama turtle. Praticamente quando arriva l’onda, ti rigiri a 360° con la tua tavola sott’acqua e poi riemergi dopo che l’onda sia passata, proprio come una tartaruga. Ci provo alla prima onda… La vedo arrivare e mi capovolgo sott’acqua. Subito risalgo in posizione corretta. L’unico problema è che quel “subito” è quantificabile in circa venticinque minuti buoni in cui studio attentamente il fondale sabbioso e l’effetto dell’acqua salata in fondo alla trachea, fra le risate di tutti. Provo allora il secondo metodo, il duffy dive, che consiste nel portare la punta della tavola e la testa sott’acqua quando l’onda arriva, come fa l’anatra e riemergere subito dopo. Con palese maggior successo, comincio a superare onda su onda, quasi arrivando – panza sopra la tavola – a Ustica.

Le onde a Mondello non sono eccessivamente alte anche se il mare pare parecchio “incazzato”. Più che altro sembra giochi a mettermi paura, riuscendoci tral’altro. Cionostante io mi lancio su ogni onda, ondona o ondetta. Spesso anche solo sulla spuma bianca, causa imbarazzante inesperienza. La metà delle volte finisco faccia sott’acqua quando mi lancio in bravate dal coefficiente di difficoltà elevato per le mie capacità. L’altra metà delle volte, riesco a cavalcare le onde bene, seppur in ginocchio, e provo quell’emozione indescrivibile e divina citata sopra, di sfrecciare sull’acqua che sembra sorriderti intorno.
Qualche battuta con Andrea interrompe per un po’ la stanchezza dei muscoli e qualche parola con gli altri surfisti in acqua strappa qualche risata. “Non ci sono molte onde oggi…” mi dice un ragazzo mentre si avvicina dalle mie parti. “Lo so, mi spiace, me le son bevute tutte io!” gli rispondo ironico. Poi la vedo arrivare… Quell’onda improvvisa che mi solleva da dietro come mi avevano sempre raccontato. La schiuma intorno si gonfia sempre più e io non cado. La velocità aumenta e io continuo a non cadere. Allora – forse – posso farcela. Mi lancio in equilibrio, piede destro avanti, piede sinistro indietro, ginocchia piegate, culo bassissimo. Riesco a vedere tutta la spiaggia di Mondello nei sui chilometri e me ne sento allo stesso momento il padre ed il figlio. A me è passata tutta la vita davanti anche se chi mi ha visto giura di avermi visto solo un secondo in equilibrio, prima di “ammarare”. Forse due, di sicuro non tre. Non importa. Mi importano solo quelle mille emozioni che mi fanno capire perché gli hawaiani lo chiamavano he’e nalu, ovvero “nascere dall’onda”. Come fosse una nuova vita, un nuovo inizio, ti sembra di uscire dall’acqua, da dentro un’onda, alla scoperta del mondo. Un’esperienza pazzesca, che ti si stampa negli occhi e nell’anima.

Prima di quella mattina non riuscivo a capire la follia di Bethany Hamilton, ragazzina statunitense al quale uno Squalo Tigre strappò via un braccio a soli 13 anni mentre surfava alle Hawaii, che si rimise sulla tavola, in acqua, poco più di un anno dopo. Oggi finalmente ho capito. Ho capito che per chi ama davvero il mare, quando si trova su quella tavola che vola a pelo d’onda, quello stesso mare è come la propria casa. Un luogo la cui attrazione fatale abbatte ogni paura e supera ogni ostacolo. Anche l’impossibile. E ho capito che non m’importa cosa la vita mi riserverà per il futuro e quale posto la trottola del destino vorrà che raggiungo. Ovunque sua, ci arriverò surfando.

Enricuzzu

(nella foto sopra) Enricuzzu e Andrea a Mondello (PA)
(nella foto sotto) Bethany Hamilton surfa con un braccio solo

giovedì 3 settembre 2009

Ultima notte a Parigi

Paris (France),
August 1st

Te ne accorgi un paio di minuti dopo che sei atterrato che il sentimento è ricambiato: neanche tu a loro stai simpatico. In compenso però, a loro sta simpaticissimo il tuo portafoglio che dimagrisce a vista d’occhio anche solo per comprare il biglietto del pullman che dall’aeroporto ti porterà alla città. Il prezzo te lo dicono nella loro lingua, anche se sudi palesemente e fai intendere di non capire. Loro non sudano, ma tentano di farti capire che ora sei in zona loro, e la lingua loro devi parlare. Te lo dicono subito con gli occhi: sei a Parigi. Bienvenue.

E a te sale subito quel rigurgito di nazionalismo che per potenza è almeno pari al loro. Sali sul pullman giurando vendetta e lo fai a voce alta. In italiano, ovviamente … e chi capisce capisce. Ti basterà poco ormai per farti lanciare frecciatine involontarie come le occhiate lanciate alle francesine nella Metrò. Non ti piaceranno le baguettes, non ti piaceranno i cappellini col pisellino sopra, non ti piaceranno gli artisti per strada, non ti piacerà quel loro dannatissimo accento all’insù che alla tua ragazza – se sei accompagnato – farà girare la testa. E soprattutto non ti piacerà l’idea che, in fondo, la testa gira anche a te. Per salvarti proverai a buttare giù un bicchiere d’acqua ma è li che il francese – bello e stronzo – ti darà il colpo di grazia: otto euro e venti per una bottiglietta da neanche un litro di acqua trasparante. Roba che se lo sapevi prima ordinavi una brocca di buon vino d’annata e buonanotte ai suonatori. L’unico posto che ti fa venire un sorriso di apprezzamento ufficiale ma di vendetta patriottica ufficiosa è il Louvre. Orgoglio francese. Ma di chi è la Gioconda? Ah, ecco.

I grandi siamo noi. Anzi no, i grandi sono loro ti dicono indicandoti la segnaletica che porta alla Reggia di Versailles. Dicono che ci sia un bel giardinetto … e andiamo a vederlo allora, sto giardinetto. Panico. Una distesa d’erba spaventosamente lunga che coprirebbe – occhio e croce – circa sei codici di avviamento postali. Un frullato spettacolare di alberi, fontane, fiori, giardini e giardinetti dove Luigi XIV si appartava con tutte le sue donnine di corte. Se fosse esistita la RyanAir in era monarchica, stai sicuro che ti piazzava un volo low-cost dall’entrata all’uscita dei giardini per fregarci gli inglesi.

Ma è proprio quando ne hai quasi abbastanza che “lei” ti spunta a sorpresa, senza preavviso, da dietro un albero. E ti abbatte. La Tour Eiffel è così: una spettacolare poesia scritta nel cielo ed illuminata dalla luna. Tutta Parigi in quattro pezzi di acciaio incastonati ad arte come diamanti purissimi. La vedi li nella notte e con lo sguardo da ebete innamorato cominci a salire senza neanche rendertene conto. Da sopra il panorama è da tachicardia turistica: tutta la città in un palmo, visibile ad occhio nudo nella lunghezza di un respiro. Talmente immensa da farti apparire piccolissima anche la fantastica ruota panoramica che campeggia sugli Champs Elyseè. Promemoria: mai salire sulla Torre da single. Quella diabolica struttura altera le percezione e stordisce i sensi come una donna che ti guarda ammaliatrice mentre ti sfila il portafoglio. E saresti capace di innamorarti lassù, anche dell’ascensorista brutto e gobbo che lassù ti ha portato.

Ed è a quel punto, alla fine del viaggio, che realizzi tutto, ricordandoti della tomba di Oscar Wilde, che hai visto qualche giorno prima. Interamente ricoperta di rossetto femminile, stampato in un’infinità di baci sulla pietra. E’ vero – ironia a parte – nessuno ha mai capito nulla di questo posto. Parigi non è la città dell’amore. Parigi E’ l’amore.

Enricuzzu



(nella foto in alto) Splendida cartolina della Tour Eiffel
(nel video) Ultima notte a Parigi

martedì 1 settembre 2009

Miami: dove puoi essere chi vuoi ...

di Alessandro Lo Piano

Miami (Florida),
August 2009

"Yeah Yeah Yeah Yeah, Miami... Uh, uh, Southbeach, bringin the heat, uh..." direbbe il buontempone di Will Smith, cool quando era principe di Bel Air, indigesto da attore-feticcio di quel frocetto di Muccino (Eminem ai tempi di Detroit gli avrebbe detto "You are gay and your brother is a fucking fagget"). E si perchè i due Muccino appartengono a quella tipologia di frocetto che a Miami sarebbe ben bene in**** a sangue!
Machiavelli, maestro dell'apparenze, avrebbe scritto una Commedia sul paradosso del "muscolo tenerissimo che si taglia con un grissino (vedi anche verga da 18 inch)": trattasi di omaccioni barbuti e muscolosi che bevono Daikiri Frozen sulla 7st e seguono la "detox diet". Spero che nessuno mi faccia causa, adesso!

"Everytime the ladies pass, they be like (Hi Uncle ALP !!!). Can y'all feel me, all ages and races. Real sweet faces (sweet=porca, accezione Miamina, ndr.) Every different nation, Spanish, Haitian, Indian, JamaicanBlack, White, Cuban, and Asian!"
Le uniche che vanno a letto sole, dopo aver pagato due insalatine e due Mohijtos 100 dollari, sono le nostre italiane. Dal momemto che a Miami conta più la verve che la borsetta Yves Sant Lorent (nome che per il maschio cubano medio è solo quello di una colonia francese in Jamaica). Per il resto è vero, impossibile guidare su collins avenue senza procurarsi un torcicollo o rischiare di tamponare qualcuno distratti dalla VISIONE dei tre ANGELI DALLA TETTA SPORTA (Didi, Vivienne, Pilar)...

"Ladies half-dressed, fully equippedAnd they be screaming out, (Uncle ALP we loved your last hit*)".
Le fanciulle desiderano ogni sera il colpettino della buona notte, sono loro a venire a chiedertelo, tu l'unica cosa che devi fare è dire "Yo, let's go, I am cool!" (i romani invece insistono con il loro internazionale "Ahò, Fata namosene a chiavà!") ... Non importa chi sei, da dove vieni e come ti chiami. Ricorda, sei a Miami.

Ma anche qui è doverso segnalare un' eccezione, trattasi dell'imbranato medio "Bauscia Milanese", abituato ad assi di bastoni e a due di picche al suo Paese (ne conosco tanti qui a Milano e ne ho visti tanti anche a Miami). Il suo stock di magliette Ambercrombie & Fitch e di pantaloni D&G saranno utili per entrare nel locale più figo di South Beach, ma più tardi ahimè finiranno macchiati di salsa BQ sugli ultimi morsi di hamburger, mentre dice agli amici: "Figa, ma a Milano le tipe sono più carine e meno volgari!".
Nel frattempo i compari di Sicilia, Argentina, Brasile, Napoli (Naples in FL) e addirittura anche i garcons di Francia staranno spruzzando, come pomp_ieri (anche oggi tranquilli) impazziti, le ultime risorse di fantasia su di un letto sgualcito; alla penombra di una luce a neon di un Hotel a 5 stelle. Mentre le vibrazioni delle natiche di lei accompagneranno la vista di lui verso l'alba dell'oceano.

Se desiderate maggiori informazioni culturali sulla Florida contattate: as.lopiano@gmail.com

*Per i non addetti ai lavori: Bottarella (ovvero colpo pelvico di indecifrabile virulenza destinato a dissolversi il giorno dopo)



(nel video) "Miami" di Will Smith