domenica 27 gennaio 2008

Lo stadio che non c'è

Quando mi indicano lo scavo nel muro da cui entrare, strabuzzo gli occhi. Fatico a credere che la storia del calcio passi per una modesta fessura nel cemento. Mi districo fra le erbacce e tiro avanti. Alzo la testa e socchiudo gli occhi. C’è una leggera nebbia che sfuma i contorni e non fa vedere bene. Faccio qualche passo. Poi qualche altro ancora. D’improvviso la nebbia scompare ed io mi ritrovo a centrocampo. Paralizzato. Non riesco a muovermi. Tutto d’un tratto, senza avvisi, il Filadelfia di Torino mi è entrato dentro. Sconquassandomi il petto ed uscendo come un fulmine dagli occhi. Riesco solo ad intravedere il fantasma di Valentino Mazzola venirmi incontro, dribblarmi e andare a toccare morbida la palla in rete. Mi giro quasi barcollando, con le gambe tremanti. L’urlo della notte avvolge i ragazzi del Grande Torino mentre si abbracciano festanti. Quei ragazzi che hanno colpito l’Italia nel cuore, dall’inizio alla fine. Quei ragazzi che in quello stesso prato che io stavo calpestando, avevano inanellato la magia di oltre cento partite senza sconfitte.

Alla mia destra il pennone centrale dove un tempo sorgevano gli spalti, ha ancora ammainata la bandiera granata. Per non dimenticare mai. Alla mia sinistra vedo l’unica tribunetta rimasta dell’intero stadio. Quattro gradini che si scavalcherebbero con un tiro calciato male. Tutto intorno il nulla. Ma a me continuano a tremare le gambe. Se possibile, più di prima. Mi poggio al palo di una porta per sorreggermi. Mi creda sulla parola chiunque mi legga, non ho mai visto uno stadio più maestoso di quello. Un qualcosa che ti incute un rispetto tale da farti deglutire a fatica. Uno stadio che per assurdo non c’è, ma che senti dentro fortissimo.

Ripenso a quel maledetto 4 Maggio del ’49, quando un tragico destino mise fine alla più bella favola del calcio italiano. Mi scivola una lacrima che asciugo subito. Chiudo gli occhi e faccio un respiro forte. Un alito di aria fredda mi sfiora la guancia. Capisco che è il momento di andare. Faccio un segno della croce ed a testa bassa, in rispettoso silenzio, esco dal campo. La nebbia riavvolge lenta quel luogo mistico. Quello stadio che non c’è, ma che non morirà mai.

Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto in ‘trasferta’” (Indro Montanelli)

Enricuzzu

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Complimenti anche questa volta sei riuscito a farmi emozionare.
Mi sembra di essere anch'io dentro lo stadio Filadelfia, intravedo la nebbia che nasconde il pennone centrale e quasi riesco a sentire l'odore dell'erba sotto i piedi.
Enri sei un grande !!!

Enricuzzu ha detto...

Mi sa che l'odore dell' "erba" lo sentivi veramente. E non quella del campo. Dato che neanche ricordi che eravamo insieme, quella sera, al Filadelfia di Torino. ;-)
Una vasata!

Anonimo ha detto...

Se sentivate l'odore dell'erba il motivo potrebbe essere stato un altro: eravate fusi ;-)

Enricuzzu ha detto...

Peppe, credimi... qui sei tu il più FUSO di tutti! ;-)

Anonimo ha detto...

Ciao Enri,
bellissimo questo articolo, anche se già te lo avevo detto...
Cmq mi piace il tuo blog, continua così mi raccomando...
Un bacione Marzietta