martedì 14 ottobre 2008

It's just Soccer!

Brooklyn (NY),
October 14th

Ci sono due cose alle quali, in qualunque parte del mondo si trovi, Enricuzzu non sa proprio rinunciare: le donne ed il calcio. E se con le prime qui a Brooklyn devi stare attento a non sbagliare se non vuoi ritrovarti il fondoschiena al posto della faccia e viceversa, per il secondo la strada è più facile. Basta ritrovarsi tutti un Lunedi sera dalle parti di McCarren Park ed il gioco è fatto.
Il nostro gruppo pallonaro è composto da persone molto tranquille, non c’è che dire. Il più delicato è il mio coinquilino, Erkan, turco ultrà sfegatato del Fenerbache. Ho detto tutto. Quando lo conobbi gli ricordai subito che due anni fa ci demolirono 3-0 in Coppa UEFA a Istanbul. Rise. L’infame era allo stadio quella sera.
Durante il riscaldamento pre-match, per fargliela pagare un pò, gli faccio un tunnel e la buttiamo sul ridere. Ma si avvicina Kevin, un ragazzo americano e sorridendo mi spiega l’unica regola che hanno da queste parti. Il tunnel è un po’ come un offesa. Te ne sono concessi due a partita. Il terzo, se vuoi, lo puoi fare all’infermiera del Brooklyn Hospital. Insomma, detta mezza parola, chi vuol capire capisca. Mi schiaccia l’occhio. Che personcina a modo.

Inizia la partita. Siamo negli USA, il campo è quello da football americano, ci sono le aste del touchdown ma mancano le porte, quindi si rimedia con gli zaini, stile oratorio vecchi tempi. La mia squadra sembra un frappè di mappamondo. Io sono l’unico italiano in campo. Schieriamo, oltre me, un turco (Erkan), uno spagnolo, due brasiliani, un asiatico naturalizzato statunitense (non ci facciamo mancare niente), un portoricano, tre americani ed un giapponese dalla faccia fessa. Ovviamente chi era il fenomeno della squadra? Il giapponese dalla faccia fessa. L’unico a cui erano permessi i tunnel e all’inizio non capivo perché. Poi ho realizzato. Lui, che di nome fa Kazui, muove talmente veloce il pallone che è capace di fartelo passare fra le gambe tre, quattro volte nel giro di cinque secondi senza farti capire nulla. Il massimo lo ha raggiunto quando su una spazzata di Erkan (ho insegnato a tutti, da Tokyo a New York, la dicitura “arrocca sta palla”) ha stoppato la palla, in scivolata, di tacco! Roba che sono rimasto fermo un minuto ad interrogarmi cosa diavolo giocavo a fare io. Ora capisco perché Holly e Benji sono giapponesi!
Sulla prima azione Kazui si inventa due finte delle sue e mi lancia la palla rasoterra d’esterno mettendomi solo davanti al portiere. Io alzo la testa e vedo accorrere Erkan come un espresso direttamente da Istanbul. Sarebbe un peccato sprecare quella corsa forsennata. Aspetto l’uscita del portiere e tocco la palla nel mezzo. Arkan entra in rete (si fa per dire!) con tutta la palla. Ci scambiamo il “cinque”. “Allora non ce l’hai con me per quella partita col Fenerbache…” mi chiede sorridendo. “Ma figurati, acqua passata…” gli rispondo di rimando. (Staminchia – detto fra di noi – la prima volta che giochiamo contro lo sommergo di dribbling!).
Dopo un pò, in seguito ad un contrasto molto dubbio, Julian lo spagnolo, vola a terra. Fischi e pernacchie di tutti. “Sei un italiano!” vola dal fondo. Rimango perplesso. Vorrei rispondere ma la cosa triste è che non so come. Hanno ragione, ed all’estero paghiamo in sfottò la nostra fama di tuffatori.
Sull’azione seguente però, nel mio piccolo, ce la metto tutta per far alzare la reputazione estera alla nostra Nazione pallonara. Entro in area e Mike, americano quattro stagioni di 2 metri di altezza per 100 chili di muscoli mi asfalta per terra. Mi guarda e mi chiede “Is it penalty?”. Mi alzo, gli do una pacca sulla spalla e gli rispondo “No man, it’s just Soccer!” e corricchio verso il centrocampo. Gli altri mi guardano sorridendo. Forse hanno capito che gli italiani non sono tutti uguali. Mike mi raggiunge, mi da il “cinque” d’ordinanza e però esagera. Guarda la mia maglietta del Palermo e gli scappa un sorrisino alla vista del rosa. Gravissimo errore.
Sull’azione seguente Kazui sbaglia un passaggio elementare. In buona sostanza spazza una palla in area con una semirovesciata volante che, abituato a vedergli fare numeri pazzeschi, mi aspettavo mi mettesse sui piedi. Invece, scarsone (!), la mette troppo lunga. Mike la stoppa. Io parto coltello fra i denti, sangue agli occhi, arterie pulsanti e muscoli tesi verso di lui e gli entro in scivolata. Palla pienissima, intervento pulito. Mike la montagna vola a terra rotolando due metri più avanti. Mi fermo, lo guardo, gli sorrido e gli dico “Do not joke with my shirt, man!”. Lui mi guarda da terra per qualche secondo e poi ride. Ha capito. Io rispetto le loro regole, loro devono rispettare il mio rosanero.
A metà partita la stanchezza si fa sentire. Chiedo quanto stiamo ma Pablo, uno dei brasiliani che evidentemente ha capito tutto del calcio, mi risponde che qua nessuno guarda il punteggio. Si gioca solo per divertirsi. Ed io gioco da classico centromediano mezzapunta metodista d’attacco laterale con licenza di offendere… a parolacce. Insomma, dove gioco non lo capisco neanche io. Ma da italiano doc di tattica ne capisco più di tutti che pendono dalle mie labbra quando spiego i concetti basilari di “diagonale” e “marcatura a uomo”. Mi passo la mano fra i capelli. Mi mancherebbe solo la “pelata” e mi sentirei Ballardini.

Le luci artificiali dopo due ore di partita cominciano a spegnersi lentamente. E’ ora di andare a riposarsi e bere giusto quei tre, quattro litri d’acqua che ti mancano in corpo. Enricuzzu dal campo di Brooklyn ne esce con tante amicizie e con due gol da incorniciare. Entrambi di testa, che sembra una barzelletta se si considera che, in offesa ai miei 180cm, con la capoccia usualmente non ne becco una manco a pagarmi. Uno su stacco imperioso e un altro addirittura su un tuffo a volo d’angelo che posso raccontare a nonna quando torno a casa in Italia. Tutte le medaglie però hanno due facce. E grazie a queste prodezze, accoppiate al mio passaporto italiano, ora tutta Brooklyn mi chiama Luca Toni. Che ad un palermitano, si sa, è un po’ come dire stronzo. C’est la vie. Anzi, come dicono da queste parti “It’s just Soccer!”.

Enricuzzu

(nella foto) Enricuzzu prima del match, una fede, una passione. Ovunque nel Mondo!

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Enry,
ma fino a quando stai a Brooklyn? il 6 di gennaio mio figlio Tobias e tuo compagno d´attacco di quella famosa partita viene a New York,siccome ho mio zio che abita a Brooklyn, lui lo va a visitare,puoi incontralo se vuoi.Lui viene con altri due amici e vanno in un Hotel ti posso fare dire qualé l´hotel e vi incontrate...o no?

Ciao

Turiddu

Enricuzzu ha detto...

Turi...
mi farebbe davvero tanto piacere, ma non credo di essere più qua il 6Gennaio... sarò già in Italia.
Però magari posso dare indirizzi vari a Tobias su dove andare, a mangiare, a divertirsi, se è la sua prima volta a NY. Anche su come risparmiare negli Hotel.

Tanto cmq ci teniamo in contatto ogni giorno io e te, non ci sono problemi!

E

stefi ha detto...

Enri sei un grande! porta con orgoglio la maglietta rosa e non farti più chiamare Luca Toni ossia "stronzo"!

Enricuzzu ha detto...

Stefi,
la prossima volta le liscio volutamente tutte di testa, accussi a finiscono! :-D

In compenso però "the real Italian" è diventato Julian, lo spagnolo, reo di 'simulare' un pò troppo! ;-)

ClaudioRN ha detto...

Enri ... pezzo meraviglioso questo: mi sono proprio divertito a leggerlo, soprattutto perché ho immaginato la scena, la tua faccia (da pirla!) ed i tuoi movimenti in campo in ogni situazione. Ho immaginato, ad esempio, la tua faccia mentre tornavi a metà campo subito dopo aver fatto volare Mike e avergli fatto capire che non doveva prenderti in giro per il colore della maglia ... che pesce lesso! :-D

Bravissimo (ovviamente non in campo!).
Claudio.

Enricuzzu ha detto...

Va a cagà Campanella... =) ah ah ah

E